Fosse per me, questo sito non sarebbe online, né oggi né domani né mai.
Con la scusa che si tratta del mio primo sito (mio personale, intendo, i siti altrui per cui ho lavorato non li conto neanche più), non farei altro che prendere tempo e accampare pretesti per modificarlo, in parte o in tutto.
Anche questo blog, fosse per me, vivrebbe solo sul desk del mio MacBook. Passerei il tempo a scrivere, cestinare, riscrivere, revisionare, rivedere, ma di pubblicare non se ne parlerebbe neanche. Nulla sarebbe mai abbastanza buono, bello e degno di essere mostrato.
Ecco, questa roba qua si chiama perfezionismo.
Ed è, lascia che te lo dica, una sciagura.
Perché è vero che il perfezionista è guidato dal desiderio dell’eccellenza. E questo gli fa onore. Solo che l’eccellenza non gli basta. Lui guarda oltre, perché è dominato dall’ideale di un risultato inimitabile, ineguagliabile, impeccabile e impareggiabile. In una parola, irraggiungibile.
Non c’è da stupirsi se il perfezionista è sempre insoddisfatto, si sminuisce di continuo e, pur correndo come un furetto pazzo cocainomane, non arriva mai da nessuna parte.
Perché piuttosto che produrre qualcosa di meno che meraviglioso, il perfezionista preferisce lo stallo. Che è uno stallo molto operoso, ma pur sempre uno stallo, perché finalizzato a limare, leccare e laccare. All’infinito. O perlomeno fino al sopraggiungere della deadline, che nel caso del perfezionista ha davvero qualcosa di mortale: pone fine a tutti i suoi infinitesimali miglioramenti, tanto encomiabili quanto inutili.
E se gli scappa un errore?
Apriti cielo.
Per il perfezionista l’errore non è mai un’occasione di apprendimento e di messa in discussione dei propri paradigmi, ma un peccato capitale, una colpa ignominiosa, la prova provata che tutto va annullato, rigettato, calpestato, compreso lui stesso che come volevasi dimostrare è un totale incapace. Eh sì, perché se una volta su mille il perfezionista riesce per qualche breve istante a gongolare con l’autostima alle stelle, le altre novecentonovantanove striscia in una pozzanghera fatta di disgusto e disprezzo di sé.
In termini di comunicazione, poi, il perfezionista è tutto fuorché attraente.
Si comporta come quelle marche totalmente egoriferite, che spendono capitali per modificare, spesso impercettibilmente, il packaging di un prodotto che va già bene così com’è, e se non vende più come prima non è perché ha perso di appeal, ma perché ha smarrito la comprensione di chi lo comprava e del mondo in cui vive.
Ma il perfezionista è così, poco lungimirante: ispeziona il dettaglio e si perde il quadro d’insieme.
Non c’è da stupirsi se il successo a cui ambisce gli sfugge così spesso da sotto il naso. È un attimo che la splendida determinazione di cui è dotato, e che lo rende capace di sfiancarsi pur di tagliare i propri traguardi personali di folle esemplarità, diventi inefficace e addirittura controproducente. Perché l’aspetto più beffardo della faccenda è che tutta la sua foga per essere il non plus ultra non solo non lo fa splendere ma finisce per metterlo in cattiva luce.
Capito perché è una gran brutta vita, quella del perfezionista?
Io l’ho capito. Tardi, ma l’ho capito.
Per cui, dal momento che sarà la trentasettesima volta che sistemo questo benedetto articolo, direi che è ora di farselo andare bene così com’è.
WORKOUT
Se ti riconosci in parte o in tutto in un perfezionista (e se sei una donna è molto probabile) fai questo esercizio.
Riparti dal tuo amore per l’eccellenza e fattelo bastare. Mettiti a fare qualcosa di buono, fallo più buono, rendilo ottimo e poi fermati.
In fondo persino la Cappella Sistina potrebbe essere più bella di quel che già è, ma sarebbe davvero così importante? E per chi?
Photo by Jonathan Hoxmark on Unsplash.